by Nando Sigona

I wrote this article 16 years ago. I was getting to know Romania from the home of mamaie, the grandma of my then girlfriend. We used to visit her every year and travel to different regions discovering and redescovering the country she had left as a twelve year old girl. A few days ago, mamaie, now in her late 90s, passed away in her little  house that so much resembled her, with the same grace and autonomy that had characterised all her life. RIP

I fiori rossi

Sulla tomba di Nicolae Ceausescu nel cimitero Ghiencia vicino a Rahova, quartiere popolare di Bucarest, per lungo tempo c’è stata un’unica corona di fiori. Rossi. E’ una tomba curata, pulita, senza polvere ed erbacce. Una fra le tante. La moglie Elena, ‘la contadina vestita di Chanel’, non è sepolta vicino a lui. Giace sotto un cumulo di terra e pietre a qualche decina di metri, nascosta dai cespugli e dalle altre tombe. Piccola vendetta contro colei che era ritenuta la principale ispiratrice delle scelte politiche del dittatore. ‘Anche le persone più indegne e terribili hanno diritto alla sepoltura’, c’è scritto su un cartello a pochi passi.

La cattura e l’uccisione del dittatore e della moglie furono raccontate in diretta. La televisione romena trasmetteva quasi senza interruzione notiziari con le immagini del dittatore in fuga. Una telecamera era sempre pronta a registrare ogni minimo spostamento di Ceausescu. Col tempo si è insinuato in molti il dubbio che si trattasse di una montatura. Gli scarsi e rudimentali mezzi a disposizione della televisione romena non avrebbero consentito un tale sforzo produttivo. A ciò bisogna aggiungere l’assenza di mezzi d’informazione indipendenti e la diretta dipendenza della tv di stato dal regime. Il racconto dei media, farcito di episodi eroici, sarebbe stato frutto di una precisa volontà di creare nel popolo romeno un’epica rivoluzionaria e suscitare la partecipazione collettiva. Molti attribuiscono ad Iliescu e al suo staff la regia dell’operazione. Proprio Iliescu riuscì in un’altra difficile impresa, passare dall’entourage del dittatore alla guida del Fronte Nazionale di Salvezza e poi alla vittoria delle prime elezioni democratiche. Carica che, dopo una breve interruzione, ricopre tuttora.

Sulla corona di fiori rossi che campeggiava sola sulla tomba del Conducator c’era una dedica. I comunisti italiani. La donna anziana che mi ha accompagnato al cimitero, mi domanda sorpresa se ci sono i comunisti in Italia. E’ una donna di ottanta anni che il comunismo in Romania l’ha visto nascere, crescere e morire. Ricorda ancora i tempi della monarchia, il re Mihai ora in esilio, il periodo in cui dalla campagna si è trasferita a Bucarest. Abita da allora nella stessa casa che ha costruito con le sue mani insieme al marito. In strada Plivitului a Rahova. Il suo consorte è sepolto nello stesso cimitero di Ceausescu. E’ morto il 22 dicembre del 1989, proprio nei giorni in cui per le strade del quartiere l’armata, passata a sostenere la causa rivoluzionaria, si scontrava con le truppe della Securitate, fedeli al dittatore. Mi dice la donna che quando il corpo del marito aspettava di essere sepolto, tenuto provvisoriamente nella cappella del cimitero, i soldati erano arrivati ed avevano iniziato a sparare. Pensavano che nella cappella si rifugiassero gli agenti della securitate. Poco dopo l’hanno incendiata, sorte patita da molte altre chiese di Bucarest, alcune delle quali suonarono le campane per chiamare il popolo alla rivolta. Il corpo del marito è riuscito a salvarsi per puro caso. La giovinezza con la monarchia. L’età matura con il comunismo. La vecchiaia con la democrazia. Un secolo di storia della Romania portato con leggerezza ed ironia. I grandi eventi, le parate annuali per il 23 agosto (giorno della storica alleanza con i russi e della salita al potere dei comunisti), unite alle vicende familiari più intime e personali.

La sera del 28 agosto di quest’anno, senza clamore, è apparsa una nuova croce sulla tomba del dittatore. Sei persone hanno istallato in gran segreto un monumento in marmo, riccamente decorato. Accanto alla foto da giovane di Ceausescu, foto non dissimile dalle centinaia pubblicate su tutti i giornali romeni durante il comunismo, c’è scritto ‘una lacrima sulla tua tomba da parte del popolo romeno’. Il giorno dopo solo il quotidiano National riportava la notizia in prima pagina: Sulla tomba di Ceausescu è stata posta una croce da mille dollari. Resta il fatto che la tomba continua ad essere poco visitata: capita di vederci qualche nostalgico, ma il gruppo più numeroso è costituito certamente dagli stranieri di passaggio, alla ricerca di una reliquia del comunismo.

Le case-resistenza

Dodici anni fa, poco prima della rivoluzione, si stava per ultimare la riqualificazione urbanistica di Rahova. Parte del più ampio e radicale progetto di ridisegno urbano di Bucarest partito nel 1984. Essa consisteva nell’abbattimento di tutte le villette del quartiere per fare spazio a palazzi di dodici piani in un funereo grigio, colore che ancora oggi contraddistingue l’intera città. Erano rimaste non più di un centinaio di case ancora intatte. Villette autocostruite che talvolta assomigliano più a baracche e che conservano ancora oggi i tratti caratteristici delle case rurali da cui provenivano molti dei loro abitanti. Dotate di piccole corti in cui razzolano galline e crescono alberi da frutta e ortaggi, queste case non sono allacciate alla rete fognaria e sono rifornite di acqua corrente attraverso delle fontane pubbliche. I palazzi che le circondano, costruiti da poco più di dieci anni, si vanno deteriorando velocemente, le tubature si rompono quasi ogni inverno e le infiltrazioni d’acqua ghiacciandosi creano crepe profonde nei muri.

Il trasferimento nei palazzi avvenne coercitivamente, nessuna possibilità di scelta reale fu lasciata alle persone che furono sradicate bruscamente dalle proprie villette e dai propri modi di vita. Il ricordo della violenza subita permane nei racconti e negli usi delle persone anziane e dei loro figli.
Nei piccoli fazzoletti di terra che circondano i palazzi gli abitanti dei piani bassi coltivano con cura orti e piante da fiore. In estate si usa portare giù in strada i tappeti che tappezzano completamente i pavimenti di casa, stenderli sui marciapiedi accidentati, e lavarli. Talvolta si chiede ospitalità agli abitanti delle villette. E’ un rito che si ripete annualmente con l’arrivo dei mesi caldi e che coinvolge vicini e passanti.

Le piccole case di Rahova, resistite al sogno imperiale di Ceausescu, sono oggi rifiorite. Il quartiere è un continuo cantiere, niente a che fare con i lavori che ridisegnano Berlino e le grandi capitali europee, è un formicaio di artigiani, muratori, singoli manovali che alzano piani, rifanno tetti dalla disegno liberty, rinforzano cancelli, costruiscono box auto. Le nuove generazioni tendono ad abbandonare, quando è possibile, i palazzi fatiscenti e a tornare alle case mono-familiari con piccolo giardino. Chi può apre sulla strada finestre più o meno grandi dalle quali espone e vende decine di prodotti, da quelli per l’igiene intima alla coca cola.

“Caldura mare, mon chere”

A Bucarest le temperature estive quest’anno hanno spesso superato i 40° C. E’ un caldo secco che induce all’immobilità. Per le strade del centro non c’è molto movimento e, pure se ci fosse, sarebbe forse difficile accorgersene vista la grandiosità degli spazi. I boulevard, così si chiamano le principali arterie della rete viaria cittadina, furono costruiti sul modello della capitale francese intorno alla fine del XIX secolo. Sono strade per parate militari, strade destinate a ben altre folle. Il numero di auto che le percorre oggi è certo aumentato dai tempi del comunismo ma, ciò nonostante, è raro che ci si trovi imbottigliati nel traffico.

La Dacia, la casa automobilistica nazionale, continua a riprodurre infinite variazioni della stessa auto. Le auto straniere sono aumentate negli ultimi due tre anni. Si vedono soprattutto auto asiatiche di media cilindrata, ma non sono rare le Mercedes dei nuovi ricchi. Ai semafori tra le poche auto in attesa del verde è facile vedere ancora i carri tirati dai cavalli, tipici delle zone rurali del paese e che in città sono spesso guidati dagli zingari che vendono angurie o raccolgono ferro.

L’influenza francese non è stata solo di tipo urbanistico. Numerosi sono i termini nella lingua romena che rimandano direttamente al francese. Molti dei quali sono frutto di un atteggiamento tipico della borghesia romena di fine secolo scorso che amava ricorrere a francesismi per impreziosire il suo linguaggio e riavvicinarlo alla matrice latina e occidentale. Questo vezzo ci è stato tramandato magnificamente, e con ironia, dal maggiore commediografo romeno di questo secolo, Caragiale, che nelle sue opere fa parlare i suoi personaggi in un vernacolo infarcito di neologismi e strampalate contaminazioni. “Caldura mare, mon chere”.

Ecologicamente sostenibile

In strada Plivitului il camion per la raccolta dei rifiuti passa una volta a settimana. Se ciò accadesse in una città italiana i rifiuti raggiungerebbero il primo piano dei palazzi e i ratti festeggerebbero, tra i sacchetti dai colori variopinti ed ogni sorta di suppellettili, la loro dea dell’abbondanza. In strada Plivitului non ci sono cumuli di rifiuti. La donna che mi ospita si dice indignata dal fatto di dover pagare una tassa per la raccolta dell’immondizia. “Che bisogno c’è?”.

Le bottiglie in vetro vengono restituite ai venditori, quelle di plastica si riempiono di birra o vino alla spina nei chioschi agli angoli delle strade. Per il sifon, una specie di acqua idrolitina, ciascuna famiglia ha un contenitore che si ricarica a pressione negli appositi negozi. Le buste di plastica sono un bene prezioso e vengono vendute come un qualsiasi altro oggetto. Se ne trovano di diversi modelli e dimensioni, da quelle in plastica nera a quelle griffate. Quando si acquistano ortaggi e frutta ai mercati bisogna andare muniti di una propria busta altrimenti non è possibile effettuare l’acquisto. Il cibo si prepara una due volte a settimana e lo si conserva in frigo fino a quando non si consuma completamente, i pochi residui sono tenuti in disparte per i numerosissimi cani randagi che presidiano le strade della città. Anche la zuica, il superalcolico nazionale, si usa farlo in casa con la fermentazione dell’uva o delle prugne che non sono più utilizzabili per fare il vino. La carta, nonostante il paese sia ricco di foreste e boschi, è estremamente costosa ed è utilizzata con parsimonia, un visitatore occidentale può facilmente rimanere sorpreso dalla ruvidità e impurità della carta igienica locale, niente a che fare con le nostre lungheresistentiemorbide. Certo è possibile trovare anche carta igienica “occidentale” ma a prezzi ben superiori ai nostri. Un singolo rotolo costa quanto tre pezzi di pane.

La produzione di rifiuti urbani è lontana dai nostri standard. Non è solo una questione di povertà materiale. Intervengono anche altri elementi legati in modo diverso alla storia comunista e rurale del paese. Le file per acquistare il cibo scarso, la perenne mancanza di ogni cosa hanno segnato profondamente le persone. Lo si sente nei racconti ma anche più semplicemente nella curiosità e meraviglia che ancora destano negli anziani i grandi supermercati, le pubblicità variopinte, le confezioni luccicanti. Bisogna anche tenere presente l’importanza che nell’educazione e formazione dei giovani durante il comunismo aveva il rapporto diretto con la natura, le visite ai parchi, le colonie estive. Ma, forse più di ogni altra cosa, merita attenzione il forte legame con la campagna e i suoi ritmi, da cui deriva un rispetto e una cura per la natura che non sono generici ma personali e spesso legati all’acquisizione delle risorse per il proprio sostentamento. Lo si vede andando nei mercati e per strada dove centinaia di contadini, provenienti dai paesi intorno alla capitale, tutte le mattine vendono direttamente i loro prodotti: pomodori, peperoni, formaggio fresco, smintina (panna acida), yogurt, farina di mais.

La limitata produzione di rifiuti è strettamente legata al riutilizzo sistematico dei materiali. Riutilizzo, quindi, piuttosto che un riciclaggio come quello in voga da noi, dove si raccolgono, con i sacchetti colorati, tonnellate di immondizia e si cerca con i contenitori differenziati di tenere pulita la coscienza.

Money, money, money

Un impiegato di medio livello guadagna in un mese circa centoventi euro. Poco o molto non ha senso dirlo senza un raffronto con i costi della vita. La cosa è meno semplice di quanto si potrebbe pensare. Esistono in una città come Bucarest disparità economiche e di modelli di vita tali che non si può, senza individuare chiaramente quello che è il proprio modello di riferimento, scegliere degli indicatori accettabili e sufficientemente validi per poter operare il raffronto.

Il fatto che siano disponibili sul mercato una varietà di prodotti in passato difficilmente reperibili non significa necessariamente che vi sia in tutti il desiderio e il bisogno indotto di entrarne in possesso. E’ proprio su questa soglia, tra il desiderio e l’impossibilità, che va costruita un’idea di povertà, fenomeno sociale ed economico complesso, che non si dovrebbe racchiudere ( e rinchiudere) in sterili paramentri economici come si tende a fare.

Esistono, per ampie fasce della popolazione legate ancora in modi diversi all’economia rurale e non completamente parte del nuovo sistema neoliberista, rapporti socio-economici consolidati, reti di relazioni, che permettono di procacciarsi attraverso un sistema di scambio di beni e servizi il necessario per condurre una vita dignitosa. Bisogna tenere conto, però, anche dell’apporto che danno all’economia domestica i capitali inviati dai parenti emigrati all’estero e che costituiscono un sostegno notevole per le famiglie romene e delle importanti riserve di valuta pesante, dollari e euro soprattutto, in momenti di inflazione incontrollata e debolezza del sistema bancario.

La convivenza tra differenti sistemi economici, tipica di molte società in transazione, può generare attriti e instabilità sociale. In Romania, gli sforzi che lo Stato ha fatto per continuare a garantire una rete di protezione sociale e sanitaria pubblica tutto sommato efficiente, hanno svolto un importante ruolo di mediazione, riuscendo a tenere relativamente bassa la conflittualità sociale.